Sant'Andrea di Conza 18 Aprile 2024.

Egregia Presidente del Consiglio,

mi chiamo Andrea Ricciardiello e vivo a Sant’Andrea di Conza in Irpinia. Le scrivo, come scrissi, senza avere risposte, circa tre anni, a chi l’ ha preceduta, affinché ascolti le tanti voci inascoltate dai media e tocchi con mano quello che da anni noi cittadini del Sud stiamo vivendo e sopportando; devastazione ambientale, sociale, economica e culturale, è dir poco. Ora quel che ora vi chiediamo a gran voce è quello di fermare questo degrado, che non si può descrivere così in due parole, ma bisogni che Lei scenda giù da noi e si accerti con i suoi occhi e tocchi con mano il perché del nostro incommensurabile dolore. Un Dolore atroce insopportabile che sentiamo ogni volta che vediamo devastare il nostro territorio da migliaia di aerogeneratori, 7000 circa, che producono il 6% lordo di energia elettrica. L’art. 9 della Costituzione recita ”La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica e tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Il territorio dell’Alta valle dell’Ofanto, uguale a tanti altri, che, partendo da quelli dei Comuni di Lioni-Morra a ovest, ed estendendosi verso est fino a lambire quello di Ruvo del Monte in Lucania, in estate, quando il sole alto nel cielo illumina la vallata e i campi di grano, ormai maturi, si svela in tutta la sua nudità e disinibita sensualità e tutto si svela agli occhi del visitatore in tutte le sue forme di indicibile e incomparabile fascino e bellezza che a cercare tra i migliori dipinti di Botticelli, Tiziano, Leonardo sarà opera impossibile. Nella vallata, attraversata da sentieri pieni di mirto, ginestre e vigne, ora trovi una strada scavata tra i monti scoscesi, ora profondi e orridi precipizi, colline rotonde con dolci pendii dove sono sparsi qua e la gruppi di bianche case coloniche, borghi di millenaria memoria, dove tutte intorno le fanno da cornice le centinaia di bianche eliche eoliche dal cuore nero come il petrolio da cui sono costituite e che si riflettono nel lago artificiale dell’ invaso di Conza e che, quando il vento si fa più violento, increspando le sue acque, si sciolgono tutte insieme nelle acque azzurro scuro. Qui, durante questi giorni di sospensione forzata, mentre eravamo nascosti nelle case, tra i vicoli dei borghi, alla quiete si alzavano mesti e udendosi in lontananza lievi stridori di denti. Erano i dondoli, abbandonati da mesi, ormai arrugginiti, sulle terrazze, o gli usci delle imposte e i cancelli divelti che appesi e senza un’ombra di grasso, venivano sbattute impietosamente dal vento. Ora, negli spazi aperti, delle chiuse chiese, sotto i ballatoi, gli archi e ai campanili, sulle scalinate o lungo le piazze e i largo cortile, tutti inverditi dalle erbacce e ortiche, alte uno spanno, e questo già prima del lockdown, troviamo colonie di gatti e cani e qualche sperduto esule cinghiale, che nascosti nella folta vegetazione, si puliscono i baffi e si affilano le unghia e le zanne aspettando per mangiarci, mentre le antiche dimore dei nobili sempre più silenziose, stanche di questo degrado, ci guardano, aspettando di morire insieme a loro. Intanto, come ogni anno, i giovani, che si affacciano in società, per la prima volta, si preparano a cambiare il mondo. Fantasticano e immaginano come potrebbero essere questi piccoli paesi se fossero loro a governare. Prima di tutto pensano a come sarebbe bello far conoscere al mondo di cotanta bellezza sono circondati. Per questo vorrebbero organizzare dei tour turistici per girovagare per lungo e largo la vallata, percorrendo antichi sentieri di grande suggestione, in cui alla bellezza dei luoghi si unirà il fascino sempre vivo delle testimonianze della loro civiltà, così antica da confidare con il mito, ma soprattutto per spiegare chi, in realtà, essi siano, da dove provengono e dove vorrebbero andare. Come sarebbe fantastico, dicono, far suonare orchestre e organizzare concerti negli spiazzi del castello di Calitri, e lungo le sue infinite stradine, o sulla ripa di Cairano e nei castelli di Morra, Monteverde, Bisaccia o all’interno del parco archeologico di Conza, rimesso a lucido dopo che è stato abbandonato da circa 20 anni, e il castello, la fontana monumentale e i giardini pensili arcivescovili di Sant’Andrea di Conza. Come sarebbe interessante farsi spazio tra la selva dei boschi di Castiglione a Calitri e quello delle Tre Rose di Pescopagano, o per le sale del museo archeologico di Bisaccia, di Morra, Conza e Sant’Angelo, o ancora portare in giro le migliaia di turisti in luoghi mistici e fiabeschi tra labirinti degni del Minotauro di Minosse, o farli girovagare tra le distese di campi di grano o lungo gli interminabili filari dei vigneti dove ogni volta a rovistar le zolle si trovano reperti appartenuti a indigeni abitatori che qui si sfidarono in scontri campali con i Romani, Cartaginesi e Irpini, Bizantini e Goti, Normanni e Angioini, o nei laboratori artigianali dove si producono oggetti di ceramica, di pietra, di ferro battuto, finemente cesellati, o filati pregiati sorti grazie ai fondi destinati ai tanti giovani che sono voluti rimanere qui nella propria terra e che loro li hanno sostenuto e supportato.

Pensate, come sarebbe emozionante, continuano, discorrere con i tanti turisti arrivati da tutto il mondo per visitare i resti del foro romano di Compsa con l’imperatore Costantino, o la casa di De Sanctis a Morra, o mentre entriamo in antichi palazzi visitando gli splendidi appartamenti privati dei centri storici; che bello spettacolo ci faremmo. Inoltre, se sarebbero loro a governare, aprirebbero, ai visitatori, dopo anni di abbandono, le numerose e splendide chiese, e poi i borghi che, ad aprirli, il personale non basterebbe. Alla riapertura, per l’occasione di concerto con tutti i sindaci saranno invitati il Presidente del Consiglio, il Governatore della Regione Campania e i suoi assessori, che si sono prodigati affinché tutto questo avvenisse. Che gioia proveremmo se nei vicoli tutti i ragazzi del mondo ballerebbero e canterebbero sulle musiche di Battisti e di John Lennon, o sulle note di Mozart, Verdi, Schubert e l’Inno alla gioia di Ludwig Van Beethoven, per tutto il giorno e ricostruire partendo da zero l’Alta Irpinia, l’Italia, attraverso una nuova visione del mondo, cambiando modo di vivere, vestirsi di nuovi abiti, parlando un linguaggio nuovo, più comprensibile, e inventando nuovi colori, nuovi sapori. Ora, questi giovani, animati di buona volontà, però, intossicati di diavolerie elettroniche e troppa cultura annacquata, come loro sostengono, i loro progetti, le loro idee, si scontrano con le vecchie generazioni, che reclamano a gran voce il fatto che a loro tutto sia dovuto, semplicemente perché loro hanno fatto la rivoluzione, combattendo una “finta” guerra, tra i comunisti, mangiabambini, democristiani e gli ottimisti dall’aria vagamente socialista e che abitavano nei borghi in edifici d’architettura fascista che avevano finestre, logge e terrazze che si affacciavano su cortili, sulle piazze, dove da ragazzi, giocavano spensierati e dove, ora, nascono e la fanno da padrone erbacce, broccoli, insalate, friarielli, cicoria selvatica, cespugli e rovi. Il problema è che questi spiriti del passato non ascoltano nessuno, neppure i giovani che, dopo un po’, vanno via, soprattutto dopo che hanno sperimentato quanto sia difficile e lungo accedere a un posto di lavoro o ai fondi europei e regionali che, come dicono e ripetono spesso, sarebbe più semplice ed equo, come vuole la Costituzione, darli direttamente ed equamente alle regioni, agli Enti Locali invece di inseguirli facendo sempre un’inutile e lunga trafila burocratica? Non, ovviamente e quindi, un destino, ma l’effetto di politiche sbagliate, altrimenti si continuerà a far finta. Nei 20 anni precedenti, al Sud, la perdita netta di giovani ammontava a 1milione di residenti. La Basilicata è diventata la Regione più povera d’Italia con un tasso di disoccupazione al 40%, insieme alla Campania. Anche i tanti imprenditori venuti per investire vanno via, perché, come dicono, mancano le persone qualificate che andrebbero formati, cosa che si potrebbe fare ora con quelli che percepivano il reddito di cittadinanza, prima e inclusione ora che lo trasformerebbero in reddito di apprendimento. L’Irpinia, terra selvaggia, uguale a tante altre, che è stata per millenni, venerata e santificata, si è trascinata per secoli, in silenzio, facendosi strada con l’avallo di maschi mediocri, a volte, invece, comportandosi come una lavatrice di panni, ha messo in riga mezzecalzette e viceré. Ora, questa è la terra dove governanti degni di questo nome sono unici che rari, dove i contadini sono diventati operai, pidiellini, poi leghisti e cinquestellati in una terra divenuta marginale, dove i Comuni, la Provincia, i sindacati e gli altri enti pensano in proprio, dove tendono a nascondere la questione meridionale, o a darla per risolta, come si trattasse di una vergogna (quale effettivamente è) e far finta che tutto vada bene. Dall’altra parte, intanto, i tanti edifici pubblici, abbandonati, dopo avere speso milioni per restaurarli, tra cui ex sontuose dimore, mangiate dalla muffa, vengono regalate a un euro per combattere lo spopolamento e dove negli uffici ci troviamo persone che non sanno rispondere a una e-mail. Questa è la terra dove altri dicono, sempre, che ha bisogno di fondi per uscire dall’arretratezza, che fa rima con amarezza, perché arrivati e spesi tutti i soldi, resta il sospetto di essere stati di nuovo presi in giro per l’ennesima volta e resta tutto come prima ad eccezione che ogni volta dobbiamo ripulire le macerie, lasciateci in eredità. Di questo ce lo ricordano quelle lasciateci dopo la riforma agraria e dalla industrializzazione degli anni ’50, dei capannoni abbandonati della 219 degli anni ’80, o come, fra qualche anno, i resti di migliaia d’impianti eolici e solari che noi li chiamiamo selvaggi perché vengono montati senza rispettare niente e nessuno vicino a case e strade e centri urbani nonostante gli innumerevoli incidenti che nessuno vede e denuncia. Incidenti per “ora” hanno provocato solo dei feriti. Vere e proprio violenze e abusi contro popoli del Sud che stanno suscitando generale riprovazione. Questa, l’Irpinia, era la terra più verde d’Italia che aveva distese di campi di grano, di uliveti, vigneti, giardini pensili e lussureggianti boschi montani da dove, in quest’ultimi, si nascondevano i lupi che d’inverno scendevano a valle, ma, che ora, sono stati sostituiti da migliaia di famelici e incontrollabili cinghiali che stanno distruggendo e divorando tutto; compreso i nuovi lupi. I milioni di euro di danni, i feriti e i morti sulle strade, che stanno provocando ogni anno, questi temuti ungulati non fanno più notizia e loro continuano a riprodursi; ormai sono milioni.

Ora a malapena quattro strepponi nei vasi sui balconi, perché il pianeta sta morendo, è malato, ripetono da 40 anni, e quindi bisognava e bisogna ancora far arricchire sempre gli stessi. Si doveva tutelare l’ambiente, l’ecosistema e quindi si sono impiantati centinaia d’impianti eolici e solari, elettrodotti e sottostazioni elettriche, per produrre energia “pulita”, e cementificare ogni angolo, ogni cupa, ogni cava, disboscare colline, e terreni coltivati, e per finanziarli, bisognava chiudere gli ospedali, lasciare marcire i beni culturali e del paesaggio, e come ha posto l’accento, la Corte dei Conti, non si doveva e non si poteva fare. Per questo verso è stata contaminata e violentata la stessa natura e civiltà delle molte popolazioni del Sud, che stanno perdendo la loro identità, le proprie radici; veri e propri crimini contro l’umanità. Ora, l’Irpinia, e il Sud, per questo è la terra dove vive gente che è frastornata, delusa dallo Stato, dalle istituzioni, che regalano miliardi alle lobby che producono l’ energia elettrica che poteva fare lo Stato, dove vive gente che non ha il denaro per fare la spesa, non ha lavoro, campa alla giornata, e a volte chiedono l’elemosina. Ora è la terra dove vivono persone che non hanno soldi per pagare il condominio, le medicine, il cibo e chiedono aiuto ai pensionati genitori o campano con il reddito di inclusione. Molti hanno i figli sposati, laureati e senza lavoro, dove a portare avanti le famiglie sono di più le donne, perché gli uomini delle partite IVA, dopo avere perso tutto a causa dello stato esoso, si deprimono e stanno in casa. Questa è la terra dove fa impresa chi aveva già i soldi, dove molti hanno paura del mondo e della propria ombra, dove stanno a casa a fumare, mangiare ed avere attacchi di panico. Questa è la terra di anziani salvati dalle badanti perché i figli e lo Stato assenti lavorano all’estero, che per questo hanno deciso che i giovani possono anche morire, l’importante è che continuino a fare il giro a scopa e a bersi l’aperitivo la domenica mattina. Allora, Vi chiedono i ragazzi, perché restare qui, dove si ha la sensazione che più fai e più dai fastidio che per sopravvivere devi stare in mezzo a finte alleanze, finti salotti, finti amici, dove qui muoiono i centri per la cultura e per il sociale, le biblioteche, e gli archivi storici, muoiono i filosofi, i poeti, fisici, matematici e dottori? Perché restare qui, dove i Figli illustri e famosi, come Voi, vengono premiati in tutto il mondo tranne che da noi? Perché, restare qui, in questa terra che vomita in giro i suoi figli migliori, dove a regnare in luoghi comuni, sono l’abbandono, la trascuratezza, il campanilismo, dove alcuni politici si credono madonne o calciatori da venerare? La risposta a ciò, come molto spesso vanno ripetendo, i giovani, è “perché, qui, ogni volta che qualcuno ci si affaccia da un balcone, da una finestra, o da una terrazza che si protende sulla vallata, specialmente in un pomeriggio di una tarda primavera o in piena estate, quando le sfumature del sole al tramonto ti inebriano all’imbrunire, respirando forte l’aria a pieni polmoni si sente il profumo unico del Mediterraneo, del mondo. Restiamo qui perché non ci vergogniamo di quello che siamo; tutta gente laboriosa, onesta, umile e con un grande pregio o un grande difetto, a secondo dei punti di vista: ci siamo fidati e ci fidiamo ancora oggi, sempre di tutti e tutto”. E voi gentile Presidente, Vi chiediamo, perché noi dovremmo restare ancora qui? Io, scrittori, imprenditori, gente comune e i tanti giovani e meno giovani del Sud e del Nord, che mi hanno indirizzato i loro pensieri dei quali ho girato alla Vostra illustrissima persona, sperando che Voi possiate farne tesoro, va tutta la nostra indiscutibile fiducia e vi auguriamo un buon e proficuo lavoro.

Questa lettera è stata inviata a Mario Draghi nel 2021 in pieno lockdown pubblicata sul Quotidiano del Sud di Avellino il 24 maggio 2021. Alcune espressioni presenti nella lettera sono state estrapolate da “Napoli, nessuna e centomila” .   

  Andrea Ricciardiello
 
     
     
     
     
     
     
     
     
   

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