70 anni fa, Sant’Andrea fu bombardata dagli anglo-americani
Il rombo dei motori degli aerei era un rumore sconosciuto per
gli abitanti del piccolo paese altirpino fino al mese di luglio del ’43
quando, per incalzare le truppe tedesche, le forze alleate sorvolavano
anche i cieli dell’irpinia.
I tedeschi, sopraffatti, ripiegavano verso Roma. Le
prime colonne di soldati tedeschi comparvero in paese agli inizi del
mese di agosto; l’Appia, che attaversa Sant’Andrea, era una
importante via di comunicazione perciò in paese c’era un continuo
movimento di truppe tedesche. La zona intorno al monumento dei
caduti in guerra fu scelta dai nostri alleati tedeschi per sostare con i
loro mezzi durante quella fuga precipitosa.
Con l’armistizio dell’otto settembre, gli anglo-americani,
che fino ad allora erano stati nostri nemici, divennero nostri alleati;
purtroppo, per bombardare con i loro aerei le truppe tedesche in fuga, i
nostri nuovi alleati provocarono morti e feriti anche fra i civili.
Le prime bombe furono sganciate sul paese proprio la sera di
quell’otto settembre, per fortuna non si ebbero danni; i tedeschi,
accampati nella zona del monumento, ai primi rombi degli aerei,
indirizzarono un faro verso il cielo per illuminarli in modo da poterli
colpire.
Ai cittadini fu vietato di accendere le luci nelle abitazioni
durante le ore notturne ma i tedeschi continuarono a tenere acceso il
loro faro, anche durante le notti successive.
Nella notte tra il 12 e il 13 settembre, i bombardieri degli
alleati sganciarono ancora le loro bombe sul paese, questa volta caddero
poco distante dal monumento, sulla via dell’Incoronata; oltre ai danni,
materiali, una scheggia colpì il signor Giorgio Francesco di Pasquale,
di anni 78, mentre dormiva nel suo letto. Il giorno successivo, alcuni
santandreani, approfittando dell’assenza dei tedeschi, si organizzarono
e smantellarono quel faro ritenuto la causa del bombardamento del giorno
precedente. Per quest’atto i tedeschi si infuriarono e fu solo grazie a
Pasquale, figlio del defunto Giorgio che si evitò una rappresaglia;
Pasquale conosceva il tedesco e mostrando loro la bara con dentro il
defunto padre, riuscì a trovare una scusa plausibile.
Il 15 settembre una colonna di tesdeschi stava attraversando
il paese; alcuni di loro si diressero sulla via dell’Incoronata in cerca
di cibo. In quel momento, il pilota di un aereo alleato, che stava
sorvolando il paese, si accorse della loro presenza e sganciò una bomba
su quella strada; morirono quattro militari tedeschi, per fortuna non ci
furono vittime tra i civili.
Con tutti quei bombardamenti, qualcuno pensò bene di far
dipingere una croce bianca sul tetto del Seminario così esso divenne un
rifugio sicuro per molti santandreani.
I tedeschi continuarono a passare per Sant’Andrea durante la
loro ritirata e, ogni tanto, qualcuno si fermava in paese per procurarsi
del cibo. La sera del 23 settembre, un gruppo di militari tedeschi, alla
ricerca di cibo nella zona del Seminario, fu avvistato dai piloti
alleati; da quegli aerei furono sganciate sul paese altirpino numerose
bombe. Le truppe tedesche non ebbero vittime ma quelle bombe provocarono
tanti danni, molti feriti e molti morti, soprattutto nei pressi della
Chiesa Madre che, dopo quel bombardamento, rimase chiusa al culto per
alcunni anni per restauri.
Quando gli aerei si allantanarono, le urla e i gemiti fecero
accorrere molti santandreani sulle macerie; molte furono le persone che
si prodigarono per aiutare quegli sfortunati. A notte fonda, un boato
scosse ancora quella povera gente: i tedeschi, per coprirsi la ritirata,
avevano fatto saltare il ponte dell’Arso con le loro mine. Il giorno
dopo gli uffici comunali rimasero aperti fino a tarda sera per poter
registrare i decessi; il commissario prefettizio rag. Luigi Iannicelli
ricevette dal maresciallo della locale caserma dei carabinieri Accardo
Giovambattista la denuncia della morte di 23 persone.
In Via Sotto la Chiesa morirono: al civico 15 Cerasale Grazia
di Salvatore, di anni 18, contadina; al civico 19 D’Angola Michelangelo
di Luigi, di anni 30, scultore della pietra; al civico 24 Gottardi Maria
Gerarda di Ermenegildo, di anni 28, casalinga; al civico 26 Iarussi
Michelarcangelo di anni 72, calzolaio e il nipote Iarussi Vittorio di
anni 8, scolaro; al civico 28 Mauriello Elvira di Matteo, di anni 47,
casalinga, il figlio Iarussi Giuseppe di anni 18, calzolaio, la madre
Cicenia Maria Giuseppa di anni 68, casalinga, la zia Mauriello Maria
Donata di anni 43, casalinga, i nipoti Piccininno Andrea di anni
16, studente, Piccininno Matteo di anni 11 scolaro, Piccininno
Antonietta di anni 5 e Piccininno Gina di anni 3; al civico 41
Cignarella Salvatore Emidio di anni 40, bettoliere e la figlia
Angiolina di anni 11, scolara; in un’abitazione in di cui si sconosce il
civico, morì D’Angola Vincenzo Gerardo di Emidio, di anni 47,
contadino, e la zia materna Savone Elisabetta di Vito, di anni 71.
Nelle vicinanze della Chiesa Madre morirono: in Via Mazzini
civico 58 Giorgio Erminia di Salvatore, di anni 44, casalinga; in Via
Gelso civico 21 Russoniello Maria Antonia di Pietro, di anni 10,
scolara.
Inoltre, in Via Battisti morirono Cignarella Donatina di
Pasquale, di anni 12, scolara e Malanga Michele Arcangelo di Pasquale,
di anni 70, macellaio; in Via dell’Incoronata morirono Schettino Maria
Donata di Antonio, di anni 15, contadina e Sossi Frida di anni 33,
casalinga, originaria di Trieste.
Il sacerdote Giorgio Vincenzo Maria fu Luigi, di anni 79, che
abitava in Via Sotto la Chiesa, fu ferito da una scheggia. Il giorno
successivo, di buon ora, Giorgio Michele Antonio fratello del sacerdote
e la sorella Grazia, con un asino stavano accompagnando il fratello
ferito nel vicino ospedale di Pescopagano. Nelle vicinanze di quel
paese, in Contrada Turiello (zona dell’attuale caserma dei pompieri),
l’asino calpestò una mina tedesca e con l’esplosione morirono tutti e
tre; brandelli della veste talare rimasero per diversi mesi sui rami
degli alberi vicini al luogo dell’esplosione.
In pochi giorni, a Sant’Andrea, gli alleati anglo-americani
provocarono la morte di 27 civili; nello stesso periodo, in guerra,
morirono, per fortuna, soltanto tre santandreani: Vallario Donato di
anni 21 di Giuseppe, Arman Vito di anni 19 di Goffredo e Restaino Emilio
di anni 30 di Nicola.
Nella cartolina postale inviata alla madre dal militare
Vallario Donato il 23 agosto 1943, un mese prima di essere ucciso a
Cefalonia il 22 settembre, c’è scritto:
“Carissima mamma oggi ho ricevuto la vostra lettera e mi sono
consolato nel leggere che stai bene così ti assicuro di me sto bene.
Cara mamma io sto bene quindi non stare in pensiero. Saluti e baci e
sono tuo figlio Donato”